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Brothers in Arms

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view post Posted on 22/4/2005, 22:46




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La guerra fa capolino anche su Pc.

Fratelli, all’armi
Fieri di un’impostazione culturale figlia di secoli di evoluzione, siamo soliti valutare qualunque cosa ci appaia come “nuova” ricercandone innanzitutto le analogie con altre cose vecchie e conosciute. Se poi per lavoro o per hobby esercitiamo continuamente la mente alla critica, la passione per una determinata materia ci porta ad allargare lo spettro dei possibili riferimenti fino al punto in cui niente ci appare più realmente nuovo e tutto ci sembra sempre e soltanto l’ennesima combinazione leggermente diversa di elementi già visti innumerevoli volte.
Come risultato, quando ci capita sotto gli occhi o sotto le mani qualcosa che è Nuovo per davvero la nostra mente va in tilt.
Come risultato, molto spesso siamo portati a trattare il Nuovo con istintiva diffidenza e a sminuirlo attraverso paragoni forzati con altre cose vecchie, conosciute e rassicuranti.
Perché questo preambolo?
Perché Brothers in Arms è così.
E’ Nuovo.

Memoria storica
In virtù dei concetti espressi poco sopra, ci sarebbe piaciuto dire che Brothers in Arms è come un Call of Duty con più strategia, oppure che Brothers in Arms è come Ghost Recon con più azione, ma la cosa non sarebbe stata esatta. Ci sarebbe persino piaciuto dire che Brothers in Arms è un gioco d’azione con elementi di strategia in tempo reale, che si manovra come un fps ma va affrontato come un puzzle game. Anche così però la cosa non sarebbe stata esatta.
In realtà l’unico modo efficace per capire esattamente cos’è Brothers in Arms consiste nel prendere in mano un mouse (o un pad) e cimentarsi personalmente nell’impresa, ma date le circostanze…
Innanzitutto freghiamocene altamente della trama del gioco. Ci basti sapere che, con tutto il rispetto per lo staff della Gearbox e per i veterani di guerra che hanno prestato memoria e lineamenti alla costruzione del plot, la sottile linea rossa di seppur nobili avvenimenti umani che lega l’incipit alla conclusione di BiA non offre nulla per cui valga la pena di trattenere il fiato. Considerato poi come volenti o nolenti dobbiamo sorbircela lo stesso a causa dei filmati non skippabili, non ci sembra il caso di ricamarci oltre.
Quel che ci basta sapere è il background (ovvero l’ormai inflazionata campagna di Normandia, chiave di volta europea per le sorti del secondo conflitto mondiale) ed il nostro ruolo nello schema generale delle cose. Orbene, come premio per le innumerevoli azioni che sin dai tempi di Wolfenstein ci hanno visto decimare in splendida solitudine squadroni interi di truppe tedesche, siamo stati alfine elevati di grado e ci troviamo ora a gestire le sorti nostre e di un drappello di valorosi soldatini attraverso una ventina di livelli densamente popolati di truppe ostili, al termine dei quali troveremo ad attenderci la sequenza finale ed un meritato ritorno a casa, forse.
Detto questo possiamo finalmente dedicarci al gameplay, ovvero al motivo per il quale realmente vale la pena soffrire, bestemmiare e portare a termine questo gioco.

Un anello nella catena di comando
Innestato in un supporto analogo a quello del nostro servizievole fps di quartiere, il metodo di controllo del gioco fa immediatamente tabula rasa di tutti i tasti speciali, i sottomenu e le finestrelle a cui ci hanno abituati analoghi giochi con aspirazioni strategiche e li sostituisce con il tasto destro del mouse (o con il suo assimilato se stiamo impugnando il controller di una console).
In tale tasto è celato il mistero di quella meccanica, semplice ma prodigiosa al tempo stesso, capace di rendere BiA esponente unico e nel contempo pioniere per quanto concerne la tattica simulata in un videogame. In buona sostanza, grazie alla pressione del tasto destro viene attivato l’anello di comando, ovvero un puntatore suscettibile al contesto che ha il duplice ruolo di determinare le azioni e gli spostamenti della squadra di commilitoni al nostro seguito. Se posizioneremo l’anello sul terreno e rilasceremo il tasto, i nostri uomini raggiungeranno la locazione indicata. Gli stessi apriranno un fuoco di sbarramento se eseguiremo la medesima procedura nella direzione di un’unità nemica, mentre se al rilascio del tasto destro sostituiremo la pressione del tasto sinistro li vedremo gettarsi di corsa all’assalto dei soldati nemici.
Con la doverosa aggiunta degli input necessari a chiamare la raccolta o la dispersione delle truppe, è tutto qui. Ed al pari di Tetris è molto più facile a mettersi in pratica che a spiegarlo a parole.
Lungi certo dall’essere una soluzione che non vanta precedenti nella storia videoludica, la feature sopraindicata si rivela un autentico uovo di Colombo una volta realizzatene le inedite correlazioni con la visuale in soggettiva.
Poiché è bene chiarire fin da subito una cosa: questo non è quel genere di fps ibrido, tanto di moda di questi tempi, dove “la squadra” è solo un ulteriore fardello da portarsi appresso mentre si macellano avversari. Affrontare BiA come si affronterebbe un qualunque shooter significa morire spesso, vagare alla ricerca di medikit che non esistono e sprecare tonnellate di proiettili all’indirizzo di nemici che nel frattempo sono in grado di farci fuori con un colpo.

Incudine e martello
Stabilire chi abbia prevalso, tra esigenze di realismo ed esigenze di gameplay, nell’implementazione degli scontri di BiA è impresa fuori dalla portata del giocatore. Lasciati in soffitta gli headshot da distanze siderali e i lanci di granate a calibrazione millimetrica, le frequenti sparatorie del gioco riflettono con buona approssimazione la proporzione reale tra i proiettili esplosi e quelli andati a segno durante il secondo conflitto mondiale.
Perché il volume di fuoco prodotto in BiA è molto “volume” e poco “efficacia”.
Volutamente imprecise anche in modalità ironsight e tendenti a vuotare il caricatore in un lampo se automatiche, le armi fedelmente riprodotte dai ragazzi della Gearbox hanno come utilizzo primario quello di fornire l’adeguata copertura ad azioni di affiancamento delle unità nemiche. La dinamica tipo di uno scontro imporrà dunque di posizionare in maniera ottimale la squadra di fuoco, la quale avrà poi il compito di tempestare di proiettili le postazioni avverse allo scopo di concedere al giocatore la possibilità di aggirarle e fulminarle con azione solitaria o con l’appoggio di una (eventuale) seconda squadra di assalto.
Ai livelli di difficoltà canonici l’efficacia del fuoco di sbarramento sarà immediatamente verificabile grazie ad un indicatore posizionato sulle teste delle truppe teutoniche: col bollino rosso converrà starsene al coperto, mentre con quello grigio sarà il momento di darsi una mossa ed andare a finire il lavoro. Se invece avremo deciso di disabilitare l’opzione o staremo giocando in modalità realistica, l’annichilimento delle resistenze avversarie sarà cosa da giudicarsi unicamente in base ad occhi, orecchie ed istinto.
Magari tenendo a mente che questo è un gioco che non perdona il minimo errore di valutazione.
Ad esaltare e diversificare questo continuo susseguirsi di incudine e martello interverranno numerose variabili, ambientali e non. La morfologia dei livelli, la loro struttura non lineare e la presenza di ostacoli e coperture naturali ed artificiali imporranno approcci ora cauti, ora spregiudicati. Unitamente al variare del numero e della tipologia di squadre impiegabili dal giocatore nelle diverse missioni, il numero dei nemici, il loro grado di addestramento, la loro collocazione sulla mappa e l’arsenale di armi a loro disposizione saranno gli elementi determinanti della corretta pianificazione di un assalto.
Apparentemente lontani dalle dinamiche di un comune shooter ed assimilabili per l’approccio richiesto ad una serie di impegnativi rompicapo, i conflitti a fuoco di Brothers in Arms non risulteranno mai uguali a loro stessi ed in tali meccanismi si inserirà la perfetta coesistenza tra azione in prima persona e gestione in tempo reale di un plotone.

Giù la testa
Per rendere credibile e, soprattutto, giocabile un titolo che basa la sua struttura di gioco su un sistema siffatto, requisito imprescindibile è una cura maniacale delle AI di compagni e nemici. Basterebbero infatti un paio di indecisioni di troppo nella scelta di un percorso o nel comportamento sotto il fuoco nemico per far crollare miseramente tutte le buone intenzioni del gioco.
Dopo aver condotto con successo una campagna ed aver rigiocato più volte parecchie delle sezioni più calde del titolo, il nostro giudizio resta più che positivo.
Dotati di una buona dose di istinto autoconservativo, i nostri fratelli d’arme non hanno mai denunciato lacune significative quando chiamati a cercarsi un riparo o a prendere di slancio una trincea nemica. Al pari dei nostri alleati, anche i soldati tedeschi danno dimostrazione di buon senso tattico impegnandoci in scaramucce tanto prolungate quanto decisamente gratificanti.
Certo, occasionalmente è capitato che uno dei nostri uomini si piazzasse dalla parte sbagliata di una copertura subendone le pesanti conseguenze, ma onestamente possiamo affermare che quella della deficienza artificiale non può venire utilizzata come scusa nel caso in cui la perdita di una intera squadra incominci a diventare una costante.

Vittime del fuoco amico
Purtroppo, e ci duole dirlo, lo stesso discorso si ribalta nel caso in cui una delle unità controllate sia rappresentata da un tank. Le (fortunatamente) poche sezioni in cui ci si trova a guidare l’avanzata di un carro armato hanno il dubbio merito di mettere a nudo le falle maggiori del gioco e per l’esattezza la poca praticità di utilizzo degli stessi e la latitanza di un motore fisico.
Anche se stazzanti parecchie tonnellate, infatti, i mezzi pesanti non hanno facoltà né di schiantare né di scavalcare nessun elemento dello scenario, sia esso una balla di fieno od una cunetta erbosa, a meno che non sia lo script a prevederlo espressamente.
Se consideriamo che buona parte dei livelli è conformata come una sorta di labirinto delimitato da siepi, muretti ed ostacoli di varia natura, il risultato è che molto spesso l’assegnare al carro armato una destinazione apparentemente a portata di mano produce come effetto quello di farlo partire alla ventura fuori dal campo visivo del giocatore e molto spesso dentro al raggio d’azione dei panzerfaust tedeschi. A causa forse di un eccessivamente manicheo sistema di pathfinding si è poi rivelato pericoloso sfruttare come copertura un tank in movimento, visto che questo ha la spiacevole tendenza ad arrotare i nostri uomini nel compimento di manovre incomprensibilmente cervellotiche.
Il mezzo gaudio sta nel fatto che tali deficienze congenite affliggono in egual misura anche i poderosi panzer tedeschi. Impegnati come saranno nelle prolungate cacce al gatto e al topo con le nostre manovre di aggiramento, infatti, questi non si fanno problemi a spiattellare sotto i cingoli o a sbriciolare a cannonate i miseri fantaccini loro alleati.
La scarsa attenzione prestata alle sezioni sui tank non è però l’unica pecca che affligge Brothers in Arms. Due sbavature di non poco conto nella realizzazione di un titolo tanto ambizioso hanno infatti destato la nostra perplessità al punto di farci ridimensionare una altrimenti eccellente votazione complessiva.
La prima di queste è, come detto, la poca originalità della trama di fondo. Nonostante il taglio spiccatamente cinematografico delle sequenze non interattive ed il seppur lodevole tentativo di introspezione psicologica del nostro alter ego e dei suoi non-più-anonimi compagni d’arme, infatti, la storia di fondo di BiA non si eleva dal già visto e già sentito, risultando persino fastidiosa per il giocatore con alle spalle una media cultura in ambito di produzioni videoludiche e cinematografiche sulla WWII.
Per la seconda sbavatura, frutto di fattori più complessi, occorre invece chiamare a concorso sia la storia che il gameplay.

Per Natale saremo tutti a casa
Stando alle dichiarazioni dei pr Ubisoft, l’accentuazione degli aspetti profondamente ‘umani’ di un conflitto armato avrebbe dovuto essere uno degli elementi trainanti di questo Brothers in Arms. Alla prova dei fatti però, il gioco smentisce più volte questo semplice assunto.
A meno che la trama non preveda il contrario, infatti, quella della morte dei nostri commilitoni è una disgrazia che si ripercuote unicamente sugli equilibri della missione in corso. Una volta terminato il livello i morti sul campo si rialzano come se nulla fosse, pronti a partecipare alla immancabile cutscene e ansiosi di ritornare nei ranghi per l’inizio del livello successivo.
La palese incongruenza risulta ancora più stridente nel caso in cui, a missione in corso, ci si ritrovi a caricare per la terza volta consecutiva lo stesso checkpoint. Consapevole della sua elevata difficoltà e pietoso verso i nostri caparbi tentativi di venire a capo di un passaggio particolarmente ostico, il gioco ci concede in questo caso la provvidenziale opportunità di riportare in vita i compagni morti e di curare quelli feriti allo scopo di renderci più agevole il conseguimento dell’obiettivo.
Il peccato più grave di un sistema così permissivo è quello di incentivare, in alcuni casi, comportamenti palesemente truffaldini da parte del giocatore. Spazientito dai continui game over conseguenti all’errato approccio verso una sezione di livello, questi potrebbe infatti cedere alla tentazione di lasciare i compagni al proprio destino per gettarsi alla cieca verso il punto di salvataggio successivo.
Se il gioco avesse previsto una qualche forma di compenso per quei giocatori determinati a completare ogni livello con la propria squadra al completo e senza aiuti di sorta, tale difetto sarebbe stato quasi irrilevante. Purtroppo BiA non fa distinzione tra chi lo tratta con rispetto e chi cerca di fregarlo e dispensa ad entrambi i suoi premi solo in base al livello di difficoltà scelto per completarne la campagna in single play.
Lasciate da parte le pignolerie sul realismo e valutato il valore di BiA in quanto “gioco”, è facile rendersi conto di quanto questo sia il suo più clamoroso autogoal.

Interior Design
Triste a dirsi, i difetti analizzati potrebbero inficiare seriamente l’impatto di Brothers in Arms verso la grande utenza. L’ingannevole meccanismo dei checkpoint e la mancanza di veri incentivi ad approfondirne il corretto utilizzo delle dinamiche rischiano di farlo assomigliare, agli occhi dell’osservatore frettoloso, ad un clone forse un po’ troppo difficile dei vari Medal of Honor o Call of Duty.
Peccato, perché a quegli stessi occhi potrebbero sfuggire parecchi di quei particolari che fanno di BiA un pezzo di software da citare come esempio quando si parla di game design.
Evitando in questa sede di dilungarci in barbose disquisizioni tecniche, ci limiteremo ad osservare che anche quelli che a prima vista avrebbero potuto sembrare dettagli insignificanti o preziosismi coreografici sono in realtà frutto di una organica concezione dell’esperienza di gioco.
Sperimentare con mano resta il solo modo per capire di cosa stiamo parlando, dal canto nostro possiamo solo dire che la cosa ci ha colti come una rivelazione quando, dopo un paio d’ore di gioco serrato, ci siamo scoperti in grado di sapere con certezza l’esatta posizione dei nemici, la corretta copertura della nostra squadra e la tattica più consona da adottare unicamente in base agli schizzi di fango che imbrattavano la visuale, al crepitio delle pallottole e alle grida concitate dei nostri commilitoni.
Pensandoci bene, di quanti dei “capolavori” che girano sul nostro pc si può dire altrettanto?
 
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