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Splinter cell 3, chaos theory

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hit man
view post Posted on 22/4/2005, 22:49




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La fantapolitica di Tom Clancy per la terza volta fa muovere i fili della marionetta Sam.

E tre.
Si attende la piena maturità della saga.
E per la terza volta, Ubisoft sfiora il bersaglio.
Dacchè il visore notturno è stato elevato da gadget tecnologico a pilastro portante del gameplay della filosofia stealth made in Ubisoft, al giocatore si chiede di sorvolare su ostili che camminano placidamente nella totale oscurità e, non da ultimo, sull’incoerenza di non esser visti a due centimetri di distanza (con la magra scusante d’essere nascosti nella penombra) dagli stessi. Poiché il visore notturno è in voga dal primissimo capitolo, Chaos Theory è il terzo esponente della saga a implorarci un simile sforzo intellettivo. L’assenza di luce si traduce in mancanza di intelligibilità dei nemici dell’ambiente circostante, nonostante la loro singolare propensione a percorrere l’oscurità secondo tragitti predeterminati. L’entità di tale assurdità è tonante considerando la centralità della sua funzione all’interno del gameplay, una citazione ludica ridondante nelle avventure della spia americana. Chaos Theory contribuisce a consolidare l’impressione che dal primo capitolo il tempo si sia fermato.

E che allo stesso tempo le differenze rispetto ai due episodi antecedenti siano molteplici. I primi livelli sono una palestra d’allenamento per prendere confidenza con le capacità ginniche del protagonista, che da tradizione si schiantano a cento chilometri orari contro il muro del level design che ne autorizza una scarsa applicazione. Il modus operandi di Sam Fisher vanta una folla di acrobazie non indifferenti, ma raramente il giocatore potrà verosimilmente beneficiarne per conseguire risultati positivi, complice una logica situazionale limitativa. Il lavoro demiurgico di Ubisoft Montreal, purtroppo si limita a far recitare la star alla perfezione senza affiancargli la scenografia che si merita. Si è agito affinché in situazioni – peraltro circoscritte - il giocatore abbia un margine d’azione disponibile per superare con più varianti alcuni passaggi, alcune volte tramite funzionalità dovute all’attento studio del level design, altre volte, come ormai prassi comune nella serie, facendo leva su alcune imperfezioni del codice. La duplice mancanza di vincoli ben definiti e limitazioni nei modi di mettere a tappeto i vari terroristi (oramai sempre presenti), trova come ostacolo lo stesso level design restrittivo (per quanto presenti alcuni sprazzi di genio, ancora troppo avaro di libertà) e un’intelligenza artificiale dei nemici che funge da cartina al tornasole in mancanza d’ingegno del giocatore. La stessa IA è spesso al centro di considerazioni acritiche, ma non è accademico tralasciare una trascuratezza che degrada il livello qualitativo dell’avventura. L’eliminazione dei nemici – mansione invero banale - scoraggia l’intraprendenza nel reperimento di vie alternative, sgretolando lentamente l’intonaco ludico. Ma è la pratica stessa a destare stupore. In negativo. Con due sentinelle che dialogano a pochi passi, si può andare dietro alla prima, sparare la seconda dirimpetto senza che nessuno si accorga di nulla e prendere alle spalle quella prossima a noi. Ma anche la guardia che dopo averci visto ballarle la macarena davanti per poi dire “mi è parso di aver visto qualcuno”, è un campione statistico rilevante. Troppo facile approfittare di un clima intellettuale tutt’altro che caldo.

La possibilità di scelta della tipologia d’armamentario prima della missione (furtività, assalto e redding, un mix tra i primi due), denota come notevoli sforzi siano stati fatti per deragliare dal binario della linearità, lasciando criteri di scelta e vie alternative lungo le varie ambientazioni. L’estensione dei livelli è cresciuta a dismisura, ma la metodologia per superare i vari passaggi si è evoluta poco o nulla. Quando due guardie armate di tutto punto fraseggiano in una stanza completamente illuminata, ecco poco distante un pertugio in un muro nel quale strusciare per superarle indenni: un espediente telefonato. Obiettivi dinamici, quali il ritrovamento di casse ove piazzare ricetrasmittenti o scoprire l’identità segreta di un personaggio, sono una soluzione atta ad aumentare la longevità di ogni singolo stage. Tuttavia, il prodotto Ubisoft Montreal pare seguire la massima di Aristotele secondo cui “il tutto è maggiore della somma delle parti”: pur presenti alcune superficialità, il grado di coinvolgimento, la varietà delle location e situazioni proposte generano un’esperienza che, come da prassi, sarebbe deprecabile lasciarsi sfuggire negli scaffali del negoziante di fiducia.

E’ opportuno rilevare che Chaos Theory non innova ma allarga, e supera il predecessore in virtù di miglioramenti non certo strutturali (l’escalation di novità non riesce a togliere il senso di dejà vù assaporabile in numerosi passaggi di gioco). La modalità cooperativa in split screen, regala nuove missioni (differenti dalla campagna in singolo) e inediti risvolti ludici scaturenti dall’azione coadiuvata tra le due spie: fare da scaletta per raggiungere punti altrimenti inaccessibili, lanciare il compagno contro un nemico o mettere fuori uso temporaneamente una telecamera col jammer. Non una semplice appendice, quanto una nuova avventura degna di attenzione. Dal punto di vista tecnico Chaos Theory è l’apogeo della saga, vantando un impatto visivo spaccamascella, in grado di accoppiare ad effetti di luce dinamici eccellenti un lavoro di texturing esemplare e raffinato. In un analisi più profonda e sostanziale, il motore grafico non si avvantaggia di un numero spropositatamente maggiore di poligoni rispetto a Pandora’s Tomorrow, quanto dell’abuso di tecniche come bump e normal mapping, che insieme a texture esemplari conferiscono al titolo una cosmesi visiva fuori parametro. Alcune cadute di stile sono date da alcune animazioni legnose o lievi compenetrazioni di poligoni, ma sarebbe ingeneroso dare grossa entità a simili sottigliezze. Anche dal punto di vista sonoro Chaos Theory si comporta diligentemente, con una valida localizzazione in lingua italiana, voci digitalizzate alla perfezione e un vasto campionario di effetti sonori.

Condito con innovazioni succulente quali la modalità cooperativa, obiettivi multipli durante le missioni e un motore grafico fuori parametro, il primo piatto della Ubisoft Montreal pare sostanzioso, nonostante alcuni dosaggi errati di ingredienti. Imperativo attribuire grande rilievo ad ammodernamenti nel level design (tuttavia taccagno nel dare libero sfogo alle capacità acrobatiche di Sam), doveroso mostrarsi sfavorevolmente colpiti dinnanzi a routine d’intelligenza artificiale che degradano il livello qualitativo dell’esperienza ludica. La valutazione complessiva non può prescindere da simili mancanze, allorché ancora una volta Chaos Theory manca il bersaglio della piena maturità, a fronte di limitazioni concettuali e certune incoerenze oramai storiche. Tuttavia, è indubbio che il prodotto Ubisoft Montreal, pur con le dovute limitazioni, riesca a regalare quel qualcosa in più che a tante produzioni pare mancare: secondo la massima di Aristotele, “il tutto è maggiore della somma delle parti”.






 
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